IO, UN’OSTETRICA NELL’INFERNO DEGLI ABORTI

Di:  Emanuele Pizzatti.

ABORTO LA BANALITA DEL MALE

La filosofa tedesca Hannah Arendt, dopo aver assistito al processo del nazista Adolf Eichmann, scrisse in un libro le domande che nessuno sembrava volersi porre e le risposte che nella loro concreta verità erano scomode e inaccettabili per molti. Trattava del male nella peggior forma assunta nel secolo passato (non fatevi ingannare da questo, rimane ancora oggi fin troppo attuale) e della naturalezza con cui molte persone “normali” lo avevano compiuto. Ha scritto: “il fenomeno che ho chiamato LA BANALITA’ DEL MALE è un male che viene commesso da uomini e donne senza movente, senza alcuna crudeltà, senza menti diaboliche, perciò da esseri umani che si rifiutano principalmente di essere persone”.

Da oltre 35 anni risuo

nano le parole espresse dalla grande Santa Madre Teresa di Calcutta:   “L’aborto è il più grande distruttore di pace oggi al mondo – il più grande distruttore d’amore. Il bambino non nato – il feto umano – è membro vivente della razza umana, creato ad immagine e somiglianza di Dio – per grandissime cose – amare ed essere amato. Perciò non c’è più da scegliere una volta che il bambino è stato concepito. Una seconda Vita – un altro essere umano è già nel grembo della madre. Distruggere questa Vita con l’aborto è omicidio, anzi peggio di ogni altro assassinio. Poiché chi non è ancora nato è il più debole, il più piccolo e il più misero della razza umana, e la sua Vita dipende dalla madre – dipende da me e da te – per una Vita autentica. Se il bambino non ancora nato dovesse morire per deliberata volontà della madre, che è colei che deve proteggere e nutrire quella Vita, chi altri c’è da proteggere?”

 

Parliamone con Laur

a (nome di fantasia per non esporla a indebite reazioni), ostetrica in un grande ospedale e mamma di famiglia numerosa. Perché hai scelto proprio questa professione?

“Mi affascinava l’idea che dentro il corpo di una donna potesse nascere una vita. Sapevo di una stessa passione nei pensieri di mia madre e mi ci sono ritrovata facilmente. Avevo qualche apprensione, ma quando assistetti al primo parto da neo studentessa mi sono confermata nella gioia di questa scelta. E’ un’emozione talmente bella e talmente forte che si rivive in ogni nas

cita, anche a distanza di molti anni”.

Non si sceglie di fare l’ostetrica per la carriera che rappresenta, le possibilità di guadagno, la posizione sociale ad esempio?

“(ride) No di sicuro… turni, notti, festività, tanta pazienza, disponibilità continua anche al sostegno morale e psicologico delle donne, penso abbia pesato più l’aspetto vocazionale che una valutazione di convenienza. Trovo le stesse attitudini e caratteristiche anche nelle mie colleghe, questa professione deve piacere, la si deve amare a fondo, si devono trovare motivazioni profonde e importanti. E’ un mestiere normalmente svolto da donne ma i rari uomini che lo scelgono sono molto bravi e motivati. La gravidanza è seguita dal ginecologo, solo i parti a domicilio possono dare guadano extra all’ostetrica ma anche in questo caso non ci può essere in realtà obiettivo di interesse”.

 

La pianificazione, i metodi per il controllo delle gravidanze, fanno parte della vostra professione anche se sembrano essere in reale contrasto con gli obiettivi primari di questa vocazione. Come vi viene insegnato questo e quali obiettivi si pone l’azienda sanitaria da cui dipendete?

“Durante il mio apprendimento scolastico tante ore sono state dedicate alla pianificazione familiare e sempre, naturalmente, con metodi farmacologici cioè senza alcuna considerazione ai metodi naturali e alle possibili conseguenze positive nel rispetto del ciclo naturale della donna e nella vita di coppia. Tutto è orientato alla pillola, al contraccettivo orale, salvo naturalmente le scuole che rappresentano una vera eccezione rispetto a questa attitudine generale. La pillola non viene mai definita una farmaco, per le giovani studenti sembra la cosa più naturale del mondo che una donna debba prendere la pillola per stare bene con se stessa, indipendentemente dalla sua vita sessuale. E’ presentata come un aiuto che diminuendo l’attività delle ovaie ne conserva più a lungo la salute prevenendo addirittura possibili malattie anche gravi che possano derivare dalle micro cicatrici causate dall’attività ovarica. In realtà sappiamo che i tumori dell’utero insistono meno su donne che hanno avuto gravidanze plurime, ma è quantomeno azzardato asserire che mettere a riposo le ovaie chimicamente può portare alla stessa conseguenza positiva. Viene detto con insistenza che è semplicemente stupido non prenderla, minimizzando le tante reali negatività e conseguenze riparandosi dietro alle nuove pillole con dosaggi ormonali ridotti.”

La scienza progredisce, il nuovo è sempre meglio e la fiducia va data a prescindere, quindi. L’amore per la vita nascente e la bellezza dell’aiuto alle future madri sono aspetti caratteristici del tuo lavoro ma sono anche gli obiettivi degli ospedali e dei medici con i quali lavori?

 

“La scuola era piuttosto interventista, cioè orientata a prepararci a dettare quanto più possibile tempi e modalità nella nascita. Negli ospedali nei quali ho potuto lavorare ho invece trovato per fortuna una attitudine diversa e più attenta al rispetto dei tempi fisiologici delle donne con atteggiamento di sostegno e aiuto.  Non guidare farmacologicamente quindi ma affiancare pazientemente facendomi sussidiaria nell’evento naturale e meraviglioso che si compie ogni volta.

 

Lo scontro è invece molto duro nel campo delle interruzioni di gravidanza, eufemismo linguistico che significa interruzione della vita del bambino. La legge prevede che venga effettuata una consulenza alla donna che mostri intenzione di abortire, che venga accertato il rischio di gravi conseguenze fisiche o psicologiche che giustificano l’intervento. La futura mamma dovrebbe essere aiutata ad approfondire e riflettere per quanto possibile, dovrebbe trovare soluzioni e indirizzi di aiuto e sostegno per valutare la possibile prosecuzione della maternità. Normalmente però il medico si limita a qualche “signora, non ci poteva pensare prima?” che certamente non risponde alla possibile difficoltà che genera la scelta di abortire. Vero è anche che quando il medico mostra maggiore sensibilità spesso è la donna che si mostra infastidita dal tentativo di approfondimento. Le ragioni della sua scelta sembrano irremovibili e difficili da mettere in discussione.”

Le ragioni della scelta di abortire. Sono state le ragioni di una battaglia politica mai sopita, si è parlato di libertà della donna messa in discussione dal bambino nascente ma anche di gravidanze in seguito a violenza, di donne giovanissime che si troverebbero la vita stavolta, di casi estremi e pietosi di fronte ai quali sembra crudele negare la possibilità di eliminazione del bambino. Ritrovi nella realtà qualcosa di tutto questo?

 

“No, motivazioni gravi se ne sentono in verità davvero poche. Normalmente “Non ho posto in casa. Sarebbe il terzo figlio. L’ultimo è ancora troppo piccolo. Abbiamo problemi di lavoro”. Talvolta professioniste in carriera. E simili. Provenienti quasi sempre da donne adulte, sposate e mediamente acculturate. Ricordo un caso di violenza in cui la donna ha partorito e lasciato il ba

mbino in ospedale per essere dato in adozione, nobile soluzione che ha salvato quella mamma dal fare a sua volta violenza al nascituro.

Le donne che abortiscono mai riuscirebbero a partorire e lasciare il bambino all’ospedale, perché la gravidanza si vedrebbe e il giudizio dei conoscenti sarebbe insopportabile e perché mai riuscirebbero ad abbandonare una volta avuto in braccio anche per un istante il loro bambino. Impossibile lasciarlo una volta partorito, facilissimo invece eliminarlo nei primi mesi di gravidanza.

La cosa incredibile è che prima dell’emissione del certificato che attesta i gravi motivi psicologici per cui la donna richiede l’interruzione, viene fatta una ecografia e tutte, ma proprio tutte, vogliono vedere e osservano con curiosità il piccolo visualizzato nel monitor. Molto raramente si rifiutano. Sanno bene quindi di cosa si tratta, comunque oggi è facile per tutte avere accesso a informazioni sul bimbo in divenire. A otto-nove settimane di vita di vede bene “cosa” fra poco verrà aspirato. Il cuore batte, gli arti sono ben visibili, la testa anche. Mi pare anche di cogliere sempre una piccola commozione, un sentimento materno naturale. Ma poi passano

i sette giorni di rito e si presentano per concludere”.

 

Hai mai potuto riscontrare nelle donne che hanno abortito eventuali conseguenze psicologiche postume?

 

“Non ho occasione di incontrarle nuovamente, se non nei casi di aborto ripetuto. Non fa parte del mio lavoro e quindi non ho possibilità di effettuare questa valutazione. Purtroppo non è infrequente il caso di ripetizione della richiesta di aborto”.

 

Pensiamo ora alle diagnosi pre-natali. A cosa servono davvero, quanto sono spinte dalle Asl?

“Gli aborti entro la 13ma settimana prescindono dalle valutazioni sulla condizione fisica del bambino, le motivazioni sono quelle espresse prima, sempre incredibilmente futili rispetto alla gravità dell’intervento richiesto.  Le eco morfologiche, di norma intorno alla 20ma settimana, permettono di effettuare valutazioni utili al parto. Le diagnosi di ultima generazione sono poco invasive ed hanno principalmente lo scopo di individuare possibili malformazioni cromosomiche permettendo così di “disfarsene” prima possibile. Vengono spacciate per esami di routine, viene suggerito in quanto giusto farlo in questa fase della crescita. Normale e giusto farlo senza porsi domande sullo scopo di queste analisi. Sono naturalmente esami piuttosto costosi quindi considerarli lo standard in ogni gravidanza provoca un interessante business per chi le vende. Si considera però un costo sociale anche la vita di una persona portatrice di malformazioni e quindi si arriva a ritenere conveniente la spesa per la ricerca di difetti. Lo stato si pone l’obiettivo di ottenere il maggior numero di individui sani possibile mediante l’eliminazione fisica di quelli ritenuti malformati o portatori di difettosità più o meno gravi. In pratica si considera degna di essere vissuta una vita piuttosto che un’altra, fino a considerate alcune malformazioni addirittura incompatibili con una vita ”degna”.

LE percentuali di falsi positivi variano dal 1% al 10% a seconda dell’esame effettuato ma sembra un prezzo consono da pagare per il risultato che si vuole ottenere. Le Asl sono allineate a questi obiettivi, il business conseguente porta indubbi vantaggi a chi se ne può rendere partecipe”.

 

La maggior parte dei medici ginecologi dichiara di essere obiettore. Ci conforta pensare che questi medici hanno scelto una professione anche considerando elementi vocazionali ed etici. Possono pesarei anche motivazioni tecnico-giuridiche o altro secondo te?

 

“Effettivamente dichiarar

si obiettori permette di evitare numerosi interventi, ognuno dei quali comporta lavoro e responsabilità. La pratica dell’obiezione è comunque di valore morale, giuridico e civile talmente alto da essere considerata una vera conquista sociale che ci distingue dalle dittature entro le quali non è mai ammessa. La professione del ginecologo è talmente in contrasto con una attività di interruzione della vita nascente da portarci a pensare che comunque le motivazioni che portano un medico a dichiararsi obiettore sono tutte da ricercare nella sua coscienza e nei valori ai quali si riferisce”.

 

“Lascia comunque perplessi il fatto che nei casi di aborto “terapeutico” (definizione incredibile, per chi sarebbe terapeutico, quindi curativo? Per il bambino no di sicuro… per la mamma?) anche i medici obiettori sono al lavoro senza problemi. Si definisce così quando sono presenti processi patologici, compresi quelli relativi a malformazioni o malattie del nascituro, che determinano un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Non si interrompe una gravidanza perché il feto è malato, ma perché il fatto che

sia malato comporta significative ripercussioni negative sulla donna, mettendo a grave rischio la sua salute fisica o mentale. La legge non specifica un termine preciso per l’aborto terapeutico, ma fa riferimento al fatto che questo deve avvenire prima che il feto abbia la possibilità di vivere autonomamente al di fuori dell’utero. Questo anche perché se il feto nasce vivo, la legge impone che debba essere rianimato, cosa che viene aspramente contestata anche da chi apprezza la legge 194. Oggi un bambino può sopravvivere già dalla 25ma settimana, figuriamoci poi considerare le spinte politiche provenienti da stati esteri che praticano già l’aborto a nascita parziale, fino al nono mese di gravidanza e sopprimendo il bimbo che potrebbe perfettamente sopravvivere”.

 

“Ricordo il caso di u

na ragazza che aveva ricevuto notizia in seguito a semplice eco morfologica della probabilità che il bimbo fosse portatore di sindrome down. La ragazza aveva rifiutato di fare ulteriori diagnosi invasive, aveva deciso di portare avanti la gravidanza fino alla nascita di una bimba effettivamente down. I commenti ai quali ho assistito erano tutti di critica alla scelta di questa coraggiosa mamma, nessun sostegno di alcun tipo né suggerimenti di aiuto concreto né semplice sostegno personale. Mi riferisco naturalmente ai medici obiettori, dagli altri non me lo aspetterei comunque. Spesso i ginecologi si pongono in atteggiamento predicatorio rispetto alla donna gravida, giudicano anziché sostenere chi peraltro in quel momento è sicuramente in posizione di debolezza e bisognosa di conforto.

Nessuna donna prende a cuor leggero la decisione di abortire, nessun medico dovrebbe criticare ma piuttosto domandarsi cosa può fare di concreto per alleviare il peso che quella persona sembra dover portare. Comunque una donna che porta avanti una gravidanza anche in caso di malformazioni probabili o accertate viene vista come una stupida, non esistono giustificazioni ma soprattutto nessun aiuto. Quando questi atteggiamenti sono tipici dei medici obiettor

i diventano ancora più dolorosi e inaccettabili.

Esistono naturalmente sensibilità migliori e medici più attenti, ma sono piuttosto eccezioni che la norma”.

 

“Ricordo anche di una donna aveva una sepsi grave, rischiava la sua vita e stava male. Il bambino era a rischio, la pressione esercitata verso quella mamma perché abortisse era enorme. Aveva infine partorito e il bimbo era morto, la mamma lo ha accolto fino alla fine naturale, battezzato e poi sepolto con cura. Lei ne era uscita senza conseguenze. Le iniziative e i consigli dei medici obiettori erano esclusivamente orientati all’aborto”.

 

“Dopo ogni aborto alla donna viene proposto di vedere il feto perché questo aiuta l’elaborazione di quanto accaduto. A questo però praticamente tutte si rifiutano, probabilmente pensando che vedere quel bimbo lo rende evidente, vero. Quasi come se l’ecografia fosse una rappresentazione, un disegno, qualcosa comunque di diverso da un bimbo in carne e ossa, pur se non ancora completo nella crescita. Alla domanda “lo vuole vedere signora?” ho assistito anche a mariti che hanno reagito con forza come se fosse una violenza proporlo”.

 

Si affronta un aborto come una cosa normalissima, lo si decide per motivi tutto sommato ben poco gravi e non è credibile la certificazione delle gravi conseguenze psicologiche per la donna che lo giustificano. Per l’aborto non occorre, né viene mai chiesta, la firma del marito. La donna è sola in questa decisione. Per un intervento di sterilizzazione ovarica, ad esempio, è obbligatorio chiedere anche la firma del marito. La possibilità data oggi dalla grande disponibi

lità di informazioni facilmente reperibili pone chiunque nella condizione di poter capire cosa sta facendo. Qualche atteggiamento segnala che tutto sommato le mamme non riescono a considerare quel bambino un semplice ammasso cellulare privo di dignità umana, tanto che si evita con forza di guardarlo in faccia a cose fatte. Ma allora perché si considera l’aborto quasi un semplice contraccettivo, perché tanta difficoltà a trovare altre soluzioni che partano dalla considerazione che si tratta di un essere umano ormai già esistente? Perché tanta banalità nell’affrontare una scelta così grave?

 

“Perché la legge crea la cultura. Il fatto che si può fare significa che si può fare, che è logico farlo. Che è giusto farlo”.

A fronte di una costante attività abortista e di una massiccia diffusione delle pillole abortive, sembra che l’infertilità sia sempre più diffusa e di conseguenza la domanda e l’offerta di fecondazione assistita sia oggi in enorme aumento. Trovi riscontro in queste affermazioni?

“Il fatto è che le donne quando sono fertili prendono contraccettivi il più delle volte senza adeguata conoscenza nemmeno di sé stesse (quante sanno e considerano che sono fertili non più di 20 ore al mese? Quante sanno che anche avendo un rapporto nelle migliori condizioni ed esattamente a ridosso di quelle ore le probabilità che inizi una gravidanza sono al massimo del 20%? Quante considerano l’attenzione ai loro ritmi fisiologici un meraviglioso approcci

o all’attività sessuale di coppia? E infine quanti mariti partecipano a queste conoscenze e decisioni?).

Quando infine non sono più fertili desiderano invece un figlio, perché in quel momento le condizioni lavorative, di carriera e di vita sembrano essere le migliori.  Anche questo genera un grosso business. La fecondazione assistita viene certamente considerata la via più rapida piuttosto che la conoscenza della propria fertilità che il più delle volte basta e avanza per risolvere il problema. Il metodo naturale in questo caso è certamente efficace tanto quanto quelli farmacologici ma il “costo zero” di questa tecnica è incompatibile con le tante possibilità di grande guadagno per molti.

In ogni caso di fecondazione assistita viene sempre effettuata anche la diagnosi pre-natale. Proprio perché i soggetti sono donne in età fertile avanzata viene effettuata l’amniocentesi. Ma quale contraddizione tra la volontà di maternità ad ogni costo e l’essere indisposti ad accettare un figlio con qualche problema. Dopo tanta fatica e spesa per realizzare una gravidanza, pronti all’a

borto se il risultato non è perfetto”.

 

Da Saviano in poi siamo circondati da personaggi pubblici che si prodigano nel ripetere in ogni occasione che un aborto non è un omicidio, che il feto non è un bambino, che fino a che non è capace di vita propria non deve essere considerato un essere umano. Ma ogni mamma che abortisce non è in grado di guardare ciò che ha abortito. Nessuna di loro è disposta a portare avanti la gravidanza e poi lasciare il figlio ad altri perché dopo averlo partorito è impossibile distaccarsene senza drammi.

 

Se esistono studi ser

i su eventuali conseguenze psicologiche sofferte dalle mamme che hanno abortito, sono certamente poco diffusi e conosciuti. Si certifica con enorme leggerezza la necessità di aborto per evitare sofferenze psicologiche alla donna, ma non si è in grado di valutare serenamente quali conseguenze quella donna vivrà poi davvero per il resto della sua vita. E di testimonianze in questo senso ne esistono già tantissime.

 

Ogni aborto costa mediamente 1.700 euro allo stato, a cui dobbiamo sommare il costo delle analisi prenatali effettuate e delle varie visite. I progetti di sostegno alla maternità consentono a molte mamme di cambiare idea e portare a termine la gravidanza, con un contributo di circa 250 euro al

mese per 18 mesi. Anche volendo considerare solo l’aspetto economico è possibile quindi pensare più a dare aiuto che a concludere con sofferenza.

 

La Chiesa è chiarissima su questo fronte, non esistono possibili interpretazioni (oggi molto di moda) del magistero che possano considerare la vita nascente qualcosa di diverso da un essere umano ad ogni effetto fin dal primo momento del concepimento, rimando alle parole di Madre Teresa: “… non c’è più da scegliere una volta che il bambino è stato concepito…” ma possiamo trovare certezze in ogni documento che se ne occupi.

La Banalità di questo Male è la prima causa del tentativo di distruzione della pace oggi nel mondo, statene attenti voi che esibite tanto facilmente arcobaleni e bandiere colorate in ogni occasione. L’aborto di oggi deve essere immaginato completato dall’aborto in casa, in autonomia e silenzio, realizzato con qualche pillola. L’aborto a nascita parziale, mediante uccisione del bambino con rapida introduzione di un coltello nella nuca e poi di un tubo per aspirarne il cervello, è già realtà in qualche stato americano ed è metodo richiesto a gran voce da Planned Parenthood e dalla compianta signora Clinton e tanto mi basta per festeggiare a lungo la sua mancata elezione.

 

La famiglia è sotto feroce attacco, la stiamo rendendo banale, così la vita, il credo religioso, i valori fondanti.

O meglio: qualcuno vorrebbe questo (da Soros in poi questo “qualcuno” ha nomi e cognomi ben conosciuti…) e qualcun altro incredibilmente se ne rende complice, ma non riescono pienamente nell’obiettivo perché in realtà tantissime persone hanno coscienza, pensano liberamente, vivono secondo valori diversi da denaro e il successo, mettono al mondo figli secondo ritmi e tempi naturali. Perché bisogna considerare che esiste anche il Bene, anzi, esiste soprattutto il Bene. E anche questo ha nomi e cognomi.

 

… “Perché la legge crea la cultura. Il fatto che si può fare significa che si può fare, che è logico farlo. Che è giusto farlo” … 

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